Giornalista in stato di fermo
23 - 01 - 2009
L'articolo che segue, a cura di Marco Marsili, è stato tratto dal sito de "La Voce" (quotidiano online), aggiornamento del 22 gennaio 2008.
Vietato al giornale documentare la vigilanza degli ultras romanisti in stazione
La Polizia impedisce alla Voce di esercitare il diritto di cronaca
Il direttore in stato di fermo alla Stazione Centrale di Milano
Milano - Quando ieri sera sono arrivato poco prima di mezzanotte alla Stazione Centrale di Milano, proveniente da Bergamo, ho trovato utile documentare il cordone sanitario che la Questura aveva predisposto per evitare che i tifosi romanisti, inferociti per l'eliminazione dalla Coppa Italia ad opera dell'Inter, la devastassero. Invitato ad allontanarmi dalla scalinata che, dai binari, si affaccia su piazza IV Novembre, ho opposto un netto diniego, in nome del diritto di cronaca. Al secondo "invito", due poliziotti in assetto antisommossa mi hanno "cortesemente" invitato a
seguirli nell'ufficio della Ps presente in stazione, senza fornirmi alcuna spiegazione sulle motivazioni del fermo, nonostante le mie reiterate richieste circa le disposizioni di legge in forza delle quali lo stesso veniva effettuato. Lì, sono stato fatto "accomodare" nella stanza che ospita la camera di sicurezza, mentre venivano effettuati i controlli sui miei documenti (me ne sono stati chiesti ben tre: tesserino dell'Ordine dei giornalisti, patente rilasciata dalla Prefettura, e Carta di identità).
Nonostante avessi fatto più volte presenti i miei diritti, e avessi gentilmente segnalato che dovevo assolutamente prendere un treno a mezzanotte e trentotto, sono stato trattenuto in effettivo stato di fermo di polizia per oltre venti minuti, giusto il tempo perché non potessi più tornare sulla scalinata in fondo alla quale erano asserragliati i questurini e gli ultras romanisti. Alla scadenza del tempo utile per prendere il treno, il poliziotto che mi aveva fermato mi chiede di firmare un verbale, senza consentirmene la lettura preventiva, nonostante le mie reiterate richieste. Oppongo subito il mio diniego alla sottoscrizione, in quanto avrei dovuto firmare una falsa dichiarazione, contenente un indirizzo diverso da quello indicato sui miei documenti, nonostante avessi più volte dichiarato la mia residenza effettiva. Non volendo rischiare i tre anni che il codice penale prevede per false dichiarazioni in atto pubblico, ho chiesto di rettificare il mio indirizzo, ottenendo solo il rifiuto del poliziotto. Dal verbale era scomparsa qualsiasi indicazione relativa alla presunta violazione di chissà quali leggi, alle quali l'agente aveva fatto un vago riferimento al momento del mio fermo ("Lei non può stare qui, né fare foto, è vietato dalla legge"), mentre era comparsa - stando alle dichiarazioni del verbalizzante - una sanzione per divieto di fumo (!). Contesto all'agente la
mancanza di autorità per notificarmi una violazione in materia di fumo in stazione, ma questo insiste. A questo punto, chiedo al poliziotto di voler pagare subito la sanzione amministrativa, visto che l'art. 28 del DPR 753/1980, che vieta il fumo sui treni ed in prossimità dei binari prevede
solo una sanzione amministrativa di 5 mila delle vecchie lire, se pagata subito, elevata a 10 mila lire in caso di ritardato pagamento. Il solerte agente mi dice di non poter riscuotere la somma, e mi dice che dovrò pagare poi in posta (è chiaro che, se la norma prevede la possibilità del pagamento
immediato, se chi notifica l'infrazione non può incassare, non può nemmeno notificarla validamente). La risposta scatena la mia ira: impedito di esercitare il mio diritto di cronaca costituzionalmente garantito senza motivo, messo in stato di fermo per venti minuti, vessato dall'ignoranza del poliziotto, preannuncio a squarciagola che l'indomani mi sarei rivolto al Questore di Milano ed al Ministero dell'Interno (inutile pensare ad un intervento dell'inutile dell'Ordine dei giornalisti). Dopo la mia sfuriata sono stato messo alla porta, ed invitato ad andarmene, senza che mi venisse consegnata nemmeno una copia del verbale che, tra l'altro, non mi era stato ancora fatto leggere.
La Polizia dovrebbe imparare a relazionarsi con i media in maniera più trasparente, poiché, attraverso questi, arriva all'opinione pubblica. Ciò che è accaduto ieri sera alla Stazione Centrale di Milano è frutto di una cultura poco incline alla trasparenza, che non considera l'appartenenza
della Polizia agli apparati dello Stato, i cui dipendenti sono pagati dal denaro dei cittadini che dovrebbero proteggere. Non è un caso che episodi come questo si ripetano regolarmente. Tra tutti, ricordiamo la sceneggiata delle versioni sull'uccisione del tifoso romanista Sandri, o quelle
sulla tragica morte dell'ispettore Filippo Raciti a Catania, o, ancora, la manipolazione della verità dei fatti avvenuti al G8 di Genova. Se tra la Polizia non si farà strada la cultura della trasparenza e della legalità (intesa come rispetto dei diritti dei cittadini-contribuenti), l'Italia rischia di precipitare in quella zona grigia da Repubblica delle banane, dove lo stato di diritto viene continuamente calpestato, e l'informazione è manipolata del potere governativo.