La vera Carta del Tifoso contro la Tessera del Viminale
03 - 10 - 2009
L'articolo che segue, del 30 settembre 2009, è di Giovanni Tarantino ed è stato tratto dalla rete.
La Carta del Tifoso
Un altro calcio è possibile. «Un altro calcio esiste già» e tiene fortemente in considerazione il tifoso, la cultura popolare del tifo e la sua funzione di conservazione della memoria storica delle società. Un calcio che è «cultura e storia innanzitutto» e in quanto tale è agli antipodi dei tentativi di «destrutturazione del tifo organizzato» - la citazione per quanto triste è testuale - attuata da qualche tempo da ministro dell'interno Roberto Maroni.
Guardare a questo modello di calcio, a detta di molti, è doveroso: ne vale della salvaguardia della genuinità dello stesso e della possibilità di continuarlo a considerare come uno sport. La pensa così anche Anthony Weatherill, un signore inglese sin dalla nascita addentro alle vicende calcistiche - è nipote di Sir Matt Busby, leggendario allenatore del Manchester United, squadra per la quale fa il tifo Weatherill - ideatore della «vera» Carta del Tifoso, uno strumento che, in prima istanza, tendeva ad anteporre la necessità di appartenenza dei supporters al proprio club e che teneva conto delle esigenze di che antepone la passione per il calcio a tutto il resto, successivamente storpiata e stravolta nell'accezione maroniana, che le ha fornito il nuovo appellativo di tessera e che ne vuole fare uno strumento di controllo, schedatura e in definitiva di repressione. Quella che oggi viene ostracizzata in tutte le curve, e non solo, unite al motto di «No alla tessera del tifoso». Ma facciamo un passo indietro. «Quando alcuni anni fa cominciai ad osservare il fenomeno del tifo con occhi da imprenditore - afferma Weatherill -, alcune cose rimasero subito impresse nella mia mente. La prima era una grande passione che si manifestava nei modi più svariati, da parte di uomini di ogni età e di ogni ceto sociale. Tanto da far definire il calcio come la liturgia laica della domenica, con i suoi riti e le sue varie fedi. La seconda era il tifo: rispetto a quando seguivo il calcio da bambino stava andandosi sempre più trasformando in modo radicale. Erano entrati in maniera prepotente la televisione e il marketing a regolare la vita dei vari campionati di calcio. Il calcio diventava, in conseguenza a ciò, sempre più oggetto di consumo, almeno secondo chi lo gestiva. La terza era il progressivo scollamento, a causa della seconda trasformazione, da parte dei tifosi dalla vita della propria squadra . I calciatori non erano più idoli che incarnavano una storia e dei colori sociali, ma delle semplici star. Quasi fenomeni da concerto rock, più che atleti su cui lenire le fatiche quotidiane e colorare i sogni. Risultato? Gli stadi italiani, che quando io ero bambino erano quasi sempre pieni, andavano sempre più svuotandosi. Tutto diventava sempre più televisivo, più fenomeno da stadio di piccole frange violente in cerca di una qualche identità perduta. Mi accorsi in modo definitivo, dopo qualche tempo, che mancava il racconto, mancava la storia». Una considerazione condivisa da molti, nell'analisi del calcio moderno. Non mancano tuttavia gli esempi di chi prova a riportare all'attenzione certi aspetti valoriali del mondo del calcio: certi aspetti del mondo ultras che esortano a sostenere la maglia come icona della tradizione del proprio club. Si può pensare anche all'operato di Action Now-Play old style, l'associazione no profit che da tempo cerca di fare filtrare il concetto di Fair play - del quale è stato eretto a simbolo il Subbuteo - nel mondo delle istituzioni, malgrado le resistenze dei privati che investono nel calcio e che non comprendono l'importanza di un programma di educazione al Fair play. Educare e non reprimere: un concetto che ancora oggi chi detiene il potere del calcio non riesce ad afferrare. Del resto, è sotto gli occhi di tutti, la militarizzazione degli stadi italiani. Ma il tentativo di Weatherill non si ferma di fronte alle difficoltà: «Ogni progetto, anche sul piano imprenditoriale deve avere alla base una buona idea commerciale, ha sì una buona dose di cinismo, ma deve avere anche un cuore filosofico da cui partire. E deve avere anche un minimo di codice etico che la regoli. Altrimenti l'imprenditore diventa solo un semplice capitano di una nave con la patente corsa: un pirata, insomma. I tifosi hanno cominciato a vedere alcuni imprenditori e dirigenti che si succedevano alla guida delle società di calcio: come dei pirati. E un giorno hanno scoperto che loro stessi, i tifosi, erano il bottino.
E da questa crisi di fiducia che parte l'idea della Carta del Tifoso. Da questo mondo che è cambiato così all'improvviso da far riporre nel cassetto le passioni più genuine. Il calcio televisivo è sempre più consumato, parlato, ma sempre più in deficit. Noi rappresentiamo una maggioranza silenziosa».
Così Mr Weatherill comincia a girare l'Italia in lungo e in largo, per ben quattro anni, parla con i tifosi, con gli ultras, e si accorge che anche le rivalità più profonde hanno delle origini storiche e culturali che si sono nel corso degli anni manifestate anche attraverso il calcio. «In un contesto che è figlio dell'Italia dei guelfi e dei ghibellini - afferma ancora Weatherill - ho scoperto storie come quella della rivalità tra città come Cava e Salerno, che distano pochi chilometri ma che si sono sviluppate urbanisticamente entrambe con convergenze verso l'esterno per evitare il contatto, forte è la rivalità tra i due comuni». Ecco da dove provengono le rivalità calcistiche. Da qui l'idea di base: «La Carta del Tifoso potrebbe essere il punto di partenza di ogni racconto. Ognuno aveva una storia da raccontare, un'esigenza da venire soddisfatta. Questi tifosi credono al progetto Carta del Tifoso, credono alla loro Carta del Tifoso. Non credono alle varie carte che alcune società di serie A hanno emanato in questi giorni. I tifosi non vogliono che la carta sia un banale biglietto elettronico per entrare allo stadio, o uno scontato biglietto del tram o per un museo che magari non hanno alcun interesse a visitare. Tutto questo, ai loro occhi, sa solo di controllo delle loro mosse, più che di una concreta possibilità di veicolare la passione per i loro colori.I tifosi che hanno creduto al progetto della Carta sono la maggioranza, e non meritano di essere ancora una volta presi in giro da chi ha solo pensato di rubare un'idea, per applicarla poi male. Se c'è una cosa che ci sta insegnando quest'ultima grave crisi economica è che l'etica deve tornare ad avere un posto di primo piano in tutti i progetti imprenditoriali. La Carta del Tifoso, qualsiasi Carta del Tifoso, non può essere fatta senza una collaborazione e una presenza attiva dei tifosi. Sarebbe un controsenso».