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La domenica vietata del tifoso innamorato

12 - 01 - 2008

L'articolo che segue, di Sergio Neri, è stato tratto da "Stadio" dell'11 gennaio 2008

Riprende il suo cammino il campionato e noi prendiamo a caso una partita: quella che a Bergamo oppone la Roma all'Atalanta.
A vedere la partita di Bergamo i tifosi della Roma non potranno andare essendo stata vietata la loro trasferta nel quadro dei provvedimenti presi per combattere la violenza negli stadi.
Sono provvedimenti che riguardano, di domenica in domenica: diverse squadre e che vengono emanati in rapporto al grado di rischio che la partita segnala.
Bene. Mettiamoci dalla parte dei tifosi normali della squadra in qualche modo punita - in questo caso la Roma - e proviamo a chiederci perché la loro passione debba soffrire di questa limitazione.
Proviamo anche ad immaginare la delusione che serpeggia nell'animo di chi ha sempre amato il calcio e il campionato come eventi meritevoli d'essere vissuti con uno spirito destinato anche a favorire, in un quadro lieto, l'aggregazione tra padri e figli, in viaggio insieme, e proviamo a rispondere in modo convincente a chi deduce che con questi divieti, peraltro ispirati alla volontà di combattere la violenza, si distrugge a poco a poco la passione degli innamorati del calcio e si incide fortemente sulla popolarità d'uno sport che rappresenta anche uno splendido e stimolante motivo d'entusiasmo collettivo nell'arco d'una settimana dedicata al lavoro.
Siamo sicuri, ci si chiede in questa bottega d'innamorati, spettatori di tante cose disordinate in un'Italia molto meno europea dei Paesi che la circondano, che le strade per battere la violenza e il teppismo negli stadi passino proprio da questo piccolo sentiero destinato soprattutto a creare un diffuso senso di delusione e di sconfitta?
Se nel ciclismo, quando il Giro d'Italia si arrampica sulle cime dolomitiche, milioni di persone convivono sulla strada dei corridori, disputando a seconda delle loro preferenze ma fraternizzando nello spirito che l'evento imminente crea, perché non si tenta di riportare anche nel calcio questo sentimento che rappresenterebbe il momento di un grande salto culturale di questo sport e della gente che nel cuore lo coltiva? Come?
Beh, il percorso sarebbe certamente meno rapido e meno facile di quello che ha portato in tempi brevissimi ai provvedimenti attuali.
Non sarebbe forse necessario studiare in profondità il problema, che si intreccia con altrettanti problemi della nostra martoriata società, per rifondare in modo serio il movimento ristrutturando i campionati, riducendo la spaventosa quantità d'eventi ripensando gli stadi che non devono più essere solo il luogo della partita ma impianti destinati ai giovani per ogni giorno dell'anno, non solo per una partita, ma quali punti d'incontro per partecipare anche ad altri eventi, per fare sport, per vivere insieme in una dimensione culturalmente più vasta e più moderna.
Ma uno studio in profondità dei problemi in Italia sembra impossibile.
Dovunque ci voltiamo, vediamo che le soluzioni sono, nella maggior parte dei casi pezze colorate poste sulla ferita per chiudere in fretta la pratica ed evitare, per un po' di tempo, altri disturbi.
Questo ripiegamento porta inevitabilmente ad un progressivo declino della società.
Guardate Napoli ahimè.

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